domenica 30 marzo 2014

Citazioni che descrivono i luoghi e gli oggetti tecnologici della quotidianità

…”Subito dietro aveva scorto l’Adelina, una brunitrice che cenava al loro stesso ristorante, che lo seguiva a cinque o sei passi di distanza, le braccia ciondoloni come se gli avesse appena lasciato il braccio per non passare insieme sotto la luce violenta delle lampade all’ingresso.”… (Cap I,pag 17).

…”Ma l’attrattiva speciale della casa era, in fondo, dietro uno sbarramento di quercia, in un cortile con vetrata, il distillatore, che gli avventori vedevano in funzione: alambicchi dai lunghi colli, serpentine che scendevano sottoterra, una cucina diabolica, dinnanzi alla quale andavano a fantasticare gli operai ubriachi.”… (Cap II pag 47)
NOTA: l' alambicco, viene descritto come mostro per tre volte nel romanzo( Cap II, VIII, X)

…”Lordo di pozzanghere d’acqua tinta, di trucioli, di scagliette di carbone, con l’erba torno torno e nelle connessure del lastrico, il cortile era investito da una luce cruda, e come spaccato in due dalla netta linea di demarcazione tra l’ombra e il sole.”… (Cap II, pag 59)

…”Nel primo scompartimento c’era un letto spinto in un cantuccio, proprio sotto la spiovenza del soffitto inclinato; una stufa di ghisa ancora tiepida dal desinare, due seggiole, una tavola e un armadio, cui si era dovuto segar la cornice, perché potesse stare tra il letto e l’uscio.”… (Cap II, pag 69).



…”Di là sarebbero andati a farsi venir fame nella spianata di Saint-Denis; avrebbero preso la ferrovia, e sarebbero poi tornati a piedi per la via maestra.”… (Cap III, pag 80)

…”Si faceva buio. Tre becchi a gas illuminavano la sala, le fiammelle oscillanti in mezzo al fumo delle pipe.”… (Cap III, pag 103).

…”al pian terreno c’era un noleggiatore di vetture che occupava le rimesse in un vasto cortile lungo la strada.”… (Cap IV, pag 112).

…”Siccome il caminetto consumava fino a quindici soldi di carbone al giorno, lo avevano chiuso: una stufetta di ghisa, posta su una lastra di marmo, li riscaldava nei giorni di gran freddo per sette soldi.”… (Cap IV, pag 113).

…”Sopra il cassettone, le fotografie della famiglia erano disposte su due file, a destra e a sinistra di un’acquasantiera di porcellana dorata nella quale tenevano i fiammiferi.”… (Cap IV, pag 113).

…”Sotto la campana, dietro l’orologio, teneva nascosto il libretto della Cassa. E spesso, quando pensava alla sua bottega, indugiava lì, davanti al quadrante, a guardar fisso il movimento delle lancette, con l’aria di aspettare un momento speciale e solenne per decidersi.”… (Cap IV, pag 124).

…” …”Io, due giorni dopo, una mattina andai là, per far colazione con loro; una bella corsa in autobus,  ve lo assicuro!”…”…(Cap VI, pag 200).

…”Appena imboccava la strada si sentiva, si sentiva leggera, allegra, come se facesse una scampagnata, in mezzo a quei terreni incolti, fiancheggiati da officine grigiastre; la carreggiata nera di carbone, i pennacchi di fumo sui tetti la divertivano come un viottolo muschioso di un bosco dei dintorni, che si inoltrasse fra verdi macchie d’arbusti: le piaceva quell’orizzonte scialbo, striato dalle alte ciminiere delle fabbriche, l’altura di Montmartre, che ostruiva il cielo con le sue case di gesso forate da buchi regolari delle finestre.”… (Cap VI. pag 206).



Citazioni che descrivono dal punto di vista tecnologico e costruttivo i luoghi del romanzo

...”Era un’immensa tettoia col soffitto piatto, le travature scoperte, sostenute da pilastri di ghisa, chiusa da grandi finestroni luminosi.”… (Cap I, pag 29)

…”La casa sembrava tanto più grande in quanto si alzava tra due piccole costruzioni basse, meschine, che le si premevano contro; e, quadrata, simile a un blocco di calcina impastata alla meno peggio, che si deteriora e si sgretola alla pioggia, profilava nel cielo chiaro, al di sopra dei tetti vicini, il suo enorme dado grossolano, i fianchi senza intonaco, color fango, d’una nudità senza fine da muraglia di prigione in cui certe file di sassi sporgenti sembravano mascelle cascanti, che sbadigliassero nel vuoto.”… (Cap, II 58)

…”Solo i tubi di scarico si piegavano a gomito ad ogni piano, dove le condutture degli acquai, come tante bocche spalancate, mettevano ciascuna una loro macchia di ghisa arrugginita.”… (Cap, II pag 58)









Citazioni che descrivono l'ambiente il lavoro degli operai, gli strumenti e le macchine utilizzate nelle fabbriche e nelle botteghe.

...”Sopra un fabbricato basso, tre enormi serbatoi d’acqua, costituiti da cilindri di zinco imbullonati mostravano la loro grigia rotondità: più in là s’innalzava l’asciugatoio, a livello di un secondo piano molto alto chiuso da tutti i lati da persiane dalle stecche sottili, attraverso le quali passava l’aria e si vedevano capi di biancheria stesi ad asciugare su fili di ferro. A destra dei serbatoi il tubo sottile della macchina a vapore emetteva con ritmo nutrito e regolare sbuffi di vapore bianco”… (Cap I, pag 28).
NOTA: descrive il lavatoio all'interno del quale è posta la macchina a vapore.

…”Il silenzio era tale che si sentiva benissimo, là in fondo al lavatoio, il rumore della pala del fuochista che gettava carbone nel fornello della caldaia.”… (Cap I, pag 34).

…”A un tratto la tettoia si riempì di un vapore biancastro; l’enorme coperchio della caldaia dove bolliva la lisciva, mediante un meccanismo, si alzava lungo una spranga centrale dentata, e la bocca di rame spalancata, dal fondo della sua muratura di mattoni, emetteva sbuffi di fumo di un sapore zuccherino di potassa. Accanto funzionavano le asciugatrici; blocchi di biancheria, in cilindri di ghisa, buttavano acqua ad ogni giro di ruota della macchina fumante, che faceva tremare il lavatoio col lavorio continuo delle sua braccia d’acciaio.”… (Cap I, pag 45).
NOTA: descrive la macchina a vapore e il suo funzionamento.


…”Giù un falegname cantava, accompagnato dal raschio regolare della raspa; mentre nella fucina del fabbro, il battere cadenzato dei martelli dava l’impressione d’un fitto e argentino scampanio.” (Cap II, pag 60).

…”I padroni fornivano l’oro in filo, con la lega, gli operai lo passavano dapprima nella trafila per ridurlo alla grossezza voluta, avendo cura di farlo cuocere cinque o sei volte, durante l’operazione, perché non si rompesse.”… (Cap II, pag 70).


…”Avvolgeva il filo preparato dalla moglie attorno un cilindro, una bacchetta d’acciaio molto sottile. Poi diede una leggera seghettatura, che tagliò il filo lungo tutto il cilindro, e con ciascun cerchietto formò una maglia. Poi le saldò. Le magliette venivano messe sopra un pezzo di carbone di legna; lui le bagnava con una goccia di borace, che teneva nel fondo di un bicchiere rotto, accanto a sé, e lesto lesto le arroventava alla lampada, sotto la fiammella orizzontale del cannello.”… (Cap II, pag 71).

…”Le rimesse del noleggiatore di carrozze, il vicino stabilimento dove si fabbricava acqua di Seltz, il lavatoio di faccia, lasciavano un grande spazio libero e silenzioso, nel quale sembrava che le voci soffocate delle lavandaie e il respiro regolare della macchina a vapore aumentassero ancor di più il raccoglimento.”… (Cap IV, pag 114).


…”Curvo sul banco, adesso tagliava lo zinco a regola d’arte. Aveva tracciato, con un giro di compasso, una curva, e ne staccava un grosso ventaglio con un paio di forbicione ricurve; poi leggermente, col martello, piegava questo ventaglio e gli dava la forma di fungo a punta. Zidoro si era rimesso a soffiare sulla brace del caldano.”… (Cap IV, pag 130).

...”Le pareva di fare una cosa molto ardita, di gettarsi proprio dentro una macchina in movimento, mentre i martelli del fabbro e le pialle del falegname battevano e stridevano in fondo alle botteghe del piano terreno.”… (Cap V, pag142).

…”Il suo primo sguardo, però andava alla “macchina”, un fornello di ghisa dove si potevano scaldare dieci ferri in una volta, accomodati attorno al fuoco su lastre inclinate.”… (Cap V,pag 147).

…”Gervasia, però prima di rientrare, dava sempre un occhiata, là di fronte, a un gran muro bianco senza finestre, tagliato da un gran portone per carri, dal quale si poteva scorgere il fiammeggiare di una fucina, in un cortile ingombro di carri e di carrette con le stanghe all’aria.”… (Cap V, pag 151).

…”In un pomeriggio di giugno, un sabato, che il lavoro era urgente, Gervasia aveva caricato la macchina di carbone e intorno vi si scaldavano dieci ferri mentre il tubo russava.”… (Cap V, pag 153).

…” Quella loschetta di Agostina, che si divertiva a buttar palettate di carbone nella “macchina”, l’aveva caricata al punto che le lastre di ghisa si arroventavano.”…  (Cap V, pag158).

…”Clemenza staccava un ferro dalla “macchina” con la presa di cuoio guarnita di lamiera e se l’avvicinava alla gota, per assicurarsi del  suo grado di calore. Lo stropicciò sulla sua pianella, lo nettò a un canovaccio che si teneva legato alla vita e cominciò la trentacinquesima camicia, stirando prima lo sprone e le due maniche.”… (Cap V, pag 161).

…”E ogni tanto in mezzo al rumore dei ferri e dell’attizzatoio che grattava la stufa, si sentiva il russare di Coupeau, che, con la precisione di un grosso tic tac d’orologio, regolava il gran da fare della bottega.”… (Cap V, pag 165).

…”A volte le lavoranti stiravano fino alle tre del mattino. Un lume pendeva dal soffitto, appeso a un filo di ferro;  la ventola formava un gran cerchio di luce viva nella quale la biancheria assumeva il molle candore della neve.”… (Cap V, pag 167).

…”Allora egli era sopraffatto dal gran calore della stufa, dall’odore della biancheria che fumava sotto il ferro, e sprofondava in un leggero stordimento, col pensiero più lento, con gli occhi dietro a quelle donne che si affrettavano, agitando le braccia nude, passando la notte a vestire a festa il quartiere.”… (CapV, pag 167).

…”Goujet, vedendo Gervasia impensierita per Stefano, per sottrarre il ragazzo alle pedate nel sedere che gli aggiustava Coupeau, l’aveva preso a stirare il mantice nella sua fabbrica di bulloni. Quel mestiere se non aveva in sé nulla di attraente per via del sudicio della fucina e per lo stordimento che si provava a battere sempre su quei pezzi di ferro, era però un mestiere buono, dove si guadagnavano da dieci ai dodici franchi al giorno. Il ragazzo , allora di dodici anni , avrebbe potuto mettercisi , gli andava. E così Stefano era diventato un nuovo legame tra la stiratrice e il fabbro.”… (Cap V, pag 168).

…”poi correvano dal magnano, dove aggraffiavano chiodi e limatura di ferro e filavano via per andare a finire in mezzo ai trucioli del falegname, mucchi di trucioli ch’erano un piacere, dove si ravvoltolavano mostrando il sedere.”… (Cap V, pag 169).

…”La donna adesso stava davanti al fornello, intenta a ripulire un pezzo di catena in una casseruolina di rame dal manico lungo, piena di soluzione  d’acido nitrico. Faceva sempre in modo da voltare le spalle a Gervasia, come se fosse a cento leghe di distanza. E Gervasia continuava a parlare, mentre li guardava ostinati al lavoro, in mezzo alla polvere nera del laboratorio, con il corpo sgraziato dentro vesti rattoppate e unte che il loro lavoro gretto e meccanico aveva reso duri e coriacei come vecchi arnesi.”… (Cap V, pag 173).

…”Il  vicino Vigoureux, che doveva aver la moglie con i fianchi bluastri tanto gli uomini la pizzicottavano, le portava il coke al prezzo della Compagnia del Gas.”… (Cap V, pag 175).

…”La fabbrica di chiodi e di viti doveva trovarsi  lì poco lontano, proprio in quel pezzo di rue Mercadet.”… (Cap VI, pag 177).

…”E cercava di orientarsi in mezzo al frastuono delle officine: sottili tubi sui tetti mandavano fuori forti sbuffi di vapore; una segheria meccanica produceva uno stridio regolare, simile a quando si lacera di colpo una pezza di calicò: manifatture di bottoni scuotevano il suolo con il vortice e il tic-tac delle loro macchine. Mentre guardava verso Montmarte, indecisa, non sapendo se dovesse proseguire oltre, una ventata portò giù la fuliggine d’un’alta ciminiera e appestò la strada.”… (Cap VI, pag 178).

…”Si vide l’officina chiusa da un tavolato con fori grossolanamente murati e con gli angoli rafforzati da muri di mattone. La polvere di carbone, sollevata, intonacava lo stanzone di una grigia fuliggine.”… (Cap VI, pag 179).

…”Stefano si era di nuovo attaccato al mantice. La fucina fiammeggiava con grandi sprazzi di faville, tanto più che il ragazzo, per mostrare alla mamma le sue capacità, scatenava un soffio enorme, da uragano. Goujet, ritto sorvegliava una sbarra di ferro che si scaldava, attendeva con le tenaglie bianche.”… (Cap VI, pag 180).

…”Quando la sbarra fu bianca, la prese con le tenaglie e sull’incudine, col martello, la tagliò in tante parti uguali, come rompesse tanti pezzettini di vetro, a colpettini. Rimise quindi i pezzi al fuoco, di dove li riprese a uno a uno, per dar loro la forma voluta. Fucinava chiodi esagonali. Infilava i pezzi in una chiodaia, appiattiva le sei facce, gettava a terra i chiodi ancora roventi, la cui macchia viva si andava spegnendo sul suolo nero.”… (Cap VI, pag 180).

…”Il cicchetto di poco prima gli scaldava la carcassa come una caldaia; si sentiva una forza dannosa di macchina a vapore.”… (Cap VI, pag 184).

…”Il vasto stanzone, scosso dalle macchine, vibrava tutto, e grandi ombre si agitavano, chiazzate di luce rossastra.”… (CapVI, pag 187).

…”Andò avanti, ed ella lo seguì in quell’assordante pandemonio dove sibilavano e ansavano rumori d’ogni sorta in mezzo ai quei fumi popolati di esseri vaghi, di uomini neri affaccendati, di macchine agitanti i loro bracci, che ella non riusciva a distinguere.”… (Cap VI, pag 187).

…”Poi, siccome lei avvertiva sopra la testa la sensazione d’un gran batter d’ali, alzò gli occhi e si fermò a guardare le cinghie di trasmissione, quei lunghi nastri che formavano nel soffitto una gigantesca ragnatela di cui ogni filo si sgomitolava all’infinito; la macchina a vapore era ascosta in un cantuccio, dietro un muricciolo di mattoni; pareva che le cinghie corressero per forza propria, e portassero il moto dal fondo dell’ombra col loro scorrere continuo, regolare, leggero come il volo di un uccello notturno. La Gervasia fu lì per cadere, avendo incespicato in uno dei tubi del ventilatore che si diramava sul terreno battuto, distribuendo il suo frizzante  soffio di vento ai fornelli vicino alle macchine. Goujet cominciò col farle vedere quello; sprigionò il vento sopra un fornello; subito dai quattro lati scaturirono quattro fiamme a ventaglio, un collaretto di fuoco smerlettato, abbagliante, appena tinto da una punta di lacca; la luce era così viva, che le lampade degli operai sembravano gocce d’ombra nel sole. Poi alzò la voce per dare qualche spiegazione, e passò alle macchine. Le cesoie meccaniche che sgranocchiavano spranghe di ferro, rompendone un pezzo ad ogni dentata e sputando i pezzi a tergo uno a uno; le macchine da chiodi e da bullette, alte, complicate, che facevano la capocchia con una sola stretta dalla potente vite; le lisciatrici, dal volano di ghisa; un cerchio di ghisa batteva furiosamente l’aria tutte le volte che da ogni pezzo levava via le slabbrature; le foratrici, messe in movimento  da donne, che foravano le viti e le madre viti, col tic-tac delle ruote d’acciaio luccicanti sotto l’unto dell’olio. Gervasia poteva così seguire tutte la fasi di lavorazione, dal ferro a spranghe, rizzato accanto al muro, fino ai chiodi e alle viti fatte, che colmavano certi cassoni nei cantucci.”… (Cap VI, pag 187-188).

…” La macchina forgiava chiodi di quaranta millimetri con la disinvoltura di un gigante. E davvero non c’era nulla di più semplice. Il fuochista prendeva il pezzo di ferro nel fornello; il battitore lo metteva nella chioderia, bagnata da un filo d’acqua continuo perché l’acciaio non perdesse la tempra  e tutto era fatto:  la vite si abbassava, la bulletta saltava in terra, con la capocchia tonda come fatta al tornio. In dodici ore quella macchina maledetta ne fabbricava centinaia di chilogrammi. Goujet non ne aveva in sé ombra di cattiveria, ma in certi momenti avrebbe volentieri preso Fifina per calarla su tutti quegli ingranaggi di ferro, per la stizza di vederli con braccia più robuste delle sue. Ciò gli dava un gran dispiacere anche quando se ne rendeva ragione dicendosi che la carne non può gareggiare col ferro. Un giorno o l’altro la macchina avrebbe ammazzato l’operaio di sicuro.”… (Cap VI, pag 188).

…”Fu un idillio in una fatica da gigante, nel divampare del carbon fossile e negli scotimenti del capannone, che scricchiolava la carcassa nera di fuliggine. Tutto quel ferro schiacciato, ridotto molle come ceralacca, serbava rozzi segni della loro tenerezza.”… (Cap VI, pag 207).


Citazioni che descrivono la condizione dell'operaio

…”Alla barriera, il pesticcio di gregge, nel freddo del mattino, non accennava a cessare; fabbri muratori, verniciatori si distinguevano gli uni dagli altri, i primi dalle casacche turchine, gli altri dai camiciotti bianchi, gli altri ancora perché pendevan loro, di sotto ai pastrani, i lunghi grembialoni.”… (Cap I, pag 20)

…”Sui boulevard esterni, agli operai si erano sostituite le operaie, le brunitrici, le modiste, le fioraie, strette nelle loro vesticciole appena sufficienti alle loro snelle corporature.”… (Cap I, pag 22)

…”Poi era la volta degli impiegati; erano vecchietti che passavano via rapidamente, con la faccia pallida, stanca per le lunghe ore di ufficio, che di tanto in tanto consultavano l’orologio per regolare il passo al secondo.”… (Cap I, pag 22)

Film

Gervaise
Il romanzo è stato adottato come film francese Gervaise nel 1956 , diretto da René Clément.

Gervaise (parte I)
Gervaise (parte II)
Gervaise (parte III)
Gervaise ( Parte IV)
Gervaise (parte V)
Gervaise (parte VI)

Approfondimenti

Rivoluzione industriale

La rivoluzione industriale è un processo di trasformazione irreversibile e di evoluzione economica e industriale della società che passa da un sistema agricolo-artigianale  ad un sistema industriale caratterizzato dall'uso di macchine  e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate, il tutto accompagnato da fenomeni di crescita, sviluppo economico e profondi cambiamenti  del sistema produttivo, socio-culturali e politici. Dall’inizio dell’Ottocento, e progressivamente fino alla metà del secolo, commerci e scambi si intensificano e l’industria siderurgica, metallurgica e meccanica assumono a poco a poco dimensioni gigantesche, impegnando nelle fabbriche migliaia di operai. Nasce una nuova classe sociale, il proletariato, costituita da coloro che dispongono soltanto di braccia per lavorare e di una “prole” da sfamare. La crescita del proletariato sarà condizionata in Inghilterra, Francia e Germania, specialmente dopo il 1830, dall’incremento sempre più rapido delle imprese industriali che sorgono alla periferia delle città . Ha inizio il fenomeno dell’inurbamento, ossia l’afflusso di imponenti masse di lavoratori giunte dalle campagne con la speranza di migliori condizioni di vita, ma che finiranno poi per doversi adattare a vivere spesso nell’estremo disagio sotto il costante incubo della disoccupazione e della fame. Le condizioni di lavoro e di vita degli operai erano durissime: fino a 16-17 ore di lavoro al giorno in luoghi pericolosi. Salari bassissimi, al limite della sopravvivenza. Donne e bambini sfruttati in misura anche maggiore degli adulti; l’igiene e la sicurezza erano scarse e spesso si verificavano incidenti, anche mortali. L'avvento della fabbrica e della macchina modifica i rapporti fra i soggetti produttivi. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira a incrementare il profitto della propria attività. Infine nasce anche la figura del tecnico che è colui che sa organizzare l’intero sistema produttivo assegnando ai lavoratori le diverse fasi che compongono il processo di produzione. 

       
              T.S. Ashton, LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, 1760-1830, Bari: Laterza, 1998



La nascita dell'urbanistica

Con la nascita dell'Urbanistica, specie nel periodo della seconda rivoluzione si iniziano anche delle operazioni di riammodernamento dei centri urbani. Negli ultimi decenni del XIX secolo le amministrazioni delle grandi città iniziarono infatti a pianificare interventi di ristrutturazione urbanistica su larga scala, come ad esempio la grande trasformazione operata a Parigi durante il Secondo impero, che prevedevano talvolta anche l'abbattimento di interi quartieri fra i più vecchi e fatiscenti, per far posto a zone ricostruite secondo schemi urbanistici più razionali, rispondenti a canoni più moderni e funzionali. Fu proprio per la necessità di mettere ordine e poter controllare queste enormi caotiche aree urbane che si iniziò in tutti i paesi industrializzati ad introdurre sistematicamente i numeri civici nelle abitazioni e a regolamentare in modo più rigoroso lo sviluppo delle reti stradali, fognarie e dei servizi pubblici in generale.

   Leonardo Benevolo, LE ORIGINI DELL'URBANISTICA MODERNA, Roma: Laterza, 2011

Trama

L'eroina è Gervaise Macquart, provenzale originaria di Plassans, che ha seguito il suo amante, il cappellaio Auguste  Lantier a Parigi con i suoi due figli Claude ed Étienne. Ben presto, Lantier, pigro ed infedele, abbandona Gervaise, non   sopportando di vivere nella miseria. La giovane donna diventa lavandaia ed accetta di sposare Coupeau, uno stagnaro che non ama realmente ma al quale finisce per cedere sia per stanchezza che per debolezza. Avranno una figlia, Nana, eroina di un altro romanzo del Rougon-Macquart.
Gervaise grazie al suo vicino Goujet, un maniscalco innamorato di lei ma che non osa rivelarle il suo amore, compera una lavanderia che gli permette molto rapidamente di acquisire una certa libertà nonostante il fatto che Coupeau, caduto da un tetto dove lavorava, sia ormai per essa un carico più che una fonte di redditi.
La situazione si deteriora sempre   più  con il ritorno di Lantier, che Coupeau accetta di alloggiare sotto il suo tetto e che ridiventa l’amante di Gervaise. Coupeau, sobrio prima dell’incidente, beve sempre più, e Gervaise finisce a sua volta per sprofondare  nell'alcolismo. Contrae debiti che gli procurano grane giudiziarie. Di confisca in confisca, Gervaise perde il suo commercio e finisce in  miseria. Dopo avere visto morire Coupeau, finisce sulla strada dove tenta anche di prostituirsi prima di morire di stenti  in una nicchia  situata sotto la scala principale dello stabile in Rue de la Goutte-d’Or. Così, dopo avere gustato la speranza di una vita felice e prospera, Gervaise cade nel vizio, nel fango, che sigilla in modo crudo e freddo questo romanzo, esemplare perfetto di letteratura naturalista.

Contesto storico-geografico del libro

Il romanzo parla del popolo, dell’ operaio, all'occorrenza degli operai-artigiani dei sobborghi parigini all'epoca del Secondo Impero francese (1852-1870). Ed è proprio l’epoca dei sobborghi durante della rivoluzione industriale in Francia a tenere la scena dell' Assommoir, quel margine urbano che non ha più nulla dell’aria di campagna ed è tuttavia condannato ad essere escluso dalle comodità della vita cittadina. E’ lo sguardo sulle case di gesso del grigio pendio di Montmartre, è il cromatismo delle facciate scure su cui si incrosta la povertà, della luce impastata al fumo e al fango delle strade dove affacciano i laboratori, delle notti di ubriachezza e prostituzione in cui finiscono per scivolare le vite di tutti. E’ un’opera la cui intera concezione è dominata dalla struttura di uno spazio e dall’edificazione immaginaria dei luoghi e delle case. Una vera e propria cellula viene ad esserne il centro: la piccola bottega blu di Gervaise Coupeau. Questa bottega è situata nel contempo nel cuore di un grande caseggiato(dove vivono quasi tutti gli attori del romanzo) e della rue de la Goutte-d’Or (cioè del “quartiere”). Essa costituisce inoltre il punto mediano tra le successive abitazioni della donna: camera sordida dell’Hotel Boncoeur (occupata nei capitoli I,II,III), grazioso appartamento della rue Nueve (capitolo IV), la bottega (capitolo V,VI,VII,VIII,IX), le due stanzette del sesto piano (X,XI,XII) e per finire la nicchia di Compare Bru(capitolo XIII). Conosce la sua apoteosi nel capitolo centrale, il settimo, la cui azione è completamente chiusa nella lavanderia e che, in occasione della festa di Gervaise, riunisce tutti i personaggi. Attorno a questo perno si articolano altri luoghi diversamente connotati. Da una parte alcuni locali dall’aspetto di antri o di sotterranei: il grande lavatoio, la forgia di Goujet, l’officina dei Lorilleaux, la bettola con il suo alambicco; dall’altra i grandi spazi aperti di Parigi dove avvengono le nozze e la corsa disperata della donna. Questi luoghi, queste abitazioni, e gli itinerari che li uniscono, sono ben più che supporti dell’azione; in un modo o nell’altro essi sono pertinenti allo scopo dell’azione.

Rue de la Goutte-d'Or




Curiosità

Il perché del titolo:


Nell’abbozzo preparatorio (in cui il titolo previsto era La semplice vita di Gervaise Macquart) Zola sottolinea la ‘semplicità’ poco romanzesca dell’opera. Ma già al momento della pubblicazione a puntate, nel 1876, compare il titolo definitivo, molto più a effetto: assommoir (termine intraducibile: in italiano si direbbe, alla lettera, «scannatoio», o «ammazzatoio») è infatti una parola del'argot (leggi argò, gergo) popolare parigino  che indica le distillerie di infimo grado, nelle quali si produceva e distribuiva l’acquavite a basso costo (dove ‘ci si ammazza’ a forza di bere, insomma); con la maiuscola, si riferisce a un locale preciso, una bettola situata al centro del quartiere operaio di Belleville. Si tratta dunque di un titolo denso di implicazioni: annuncia la scelta linguistica fondamentale del romanzo (l’uso dell’argot parigino), dichiara quale sarà il centro simbolico dello spazio romanzesco (la bettola gestita da 'papà' Colombe il cui nome è ironico poiché la colomba porta la pace mentre quest'ultimo rende la gente violenta e sparge la disgrazia nella classe operaia. In mezzo al caffè di Colombe, troneggia l'alambicco famoso, una macchina infernale che Zola trasforma  lungo il  romanzo, in un mostro, un tornado nel  quale tutti finiscono per affogare), anticipa il tema centrale (la degenerazione e la violenza connesse all'abuso di alcool).

L'assommoir del Perè Colombe

Un capolavoro criticato:

Pubblicato a puntate nel 1876 e in volume nel 1877, l’Assommoir è uno dei più grandi successi del secondo Ottocento, anche se lo straordinario favore da parte del pubblico è accompagnato da critiche feroci, e di segno opposto: i benpensanti borghesi contestano le scene di degrado fisico e morale (accusando Zola di pornografia e di oltraggio al pudore), gli intellettuali di sinistra vi leggono un insulto nei confronti del popolo, e persino Victor Hugo lo definì un «romanzo brutto», perché «mostra compiaciuto le orride piaghe della miseria». Quale routine, d’altronde, quale conformismo era in grado di sopportare lo spettacolo di quel linguaggio triviale e la vista di quei personaggi volgari? E come disprezzare i pregiudizi così radicalmente da ammettere questi dettagli crudi, questi costumi degradati, questo interesse sincero per una classe sociale in servitù? La  vigorosa verità del romanzo, la sua intensa poesia venivano ad essere cancellate, eccetto che agli occhi di alcuni chiaroveggenti: Huysmas, Mallarmè e Bourget.

Nota dell’autore sull’Assommoir:

…”Quando l’Assommoir apparve a puntate su un giornale, fu attaccato con brutalità senza esempio, denunciato, accusato di ogni sorta di obbrobri. E’ necessario ch’io esponga qui, in poche righe, le mie intenzioni di scrittore? Ho inteso dipingere il fatale decadere di una famiglia operaia, nell’ambiente appestato dei nostri sobborghi. Dall’abitudine di sborniarsi e dall’infingardaggine, provengo il rilassamento dei legami della famiglia, le sozzurre della promiscuità, il progressivo oblio dei sentimenti di onestà, e più in li ancora, a mo’ di catastrofe, la vergogna e la morte. Si tratta puramente e semplicemente della morale in atto.(…)Non ho la minima intenzione di difendermi, d’altronde. Mi difenderà la mia opera. E’ un’opera di verità, il primo romanzo sul popolo che non mentisca e che abbia odor di popolo. Non se ne deve concludere che il popolo sia tutto cattivo, giacché i miei personaggi non sono cattivi; non sono che ignoranti e corrotti dall’ambiente di penoso lavoro e miseria in cui vivono. Senonché i miei romanzi bisognerebbe leggerli, capirli, vederne chiaramente l’insieme, prima di pronunciare i giudizi bell’e fatti, grotteschi e odiosi che circolano sulla mia persona e sulla mia opera.”…  
Parigi 1 Gennaio 1877.


Zola da romanziere a ‘’pittore’’:

Critico letterario e artistico, Zola difende l’arte contemporanea e la pittura anticonformista dei seguaci dell’impressionismo. Gli scorci di Parigi e i paesaggi che descrive con accuratezza nei romanzi sono gli stessi dipinti dagli amici pittori. Emile Zola, amico di gioventù di Cézanne, manifesta molto presto una grande attenzione per la pittura. Si interessa soprattutto agli artisti che la critica ufficiale disapprova. Nel 1866, scrive un articolo in favore di Manet e lo difende di nuovo l'anno seguente in occasione di una sua mostra personale organizzata a margine dell'Esposizione Universale. Come forma di ringraziamento, Manet propone all'autore di fare il suo ritratto.


Edouard Manet (1832-1883), Emile Zola, 1868, olio su tela, cm 146.5x114


Scrive Henri Mitterand:


…”Sono i suoi amici Chaillan, Cezannè, Bazille, Manet, Pissarro, Renoir, Fantin-Latour che gli hanno insegnato a vedere la vita moderna e a vederla con l’occhio del pittore, abile a cogliere il gioco delle forme, dei colori, degli istanti e delle illuminazioni. Il modo di procedere di Zola, che parte come i suoi amici alla ricerca del motivo, che traccia alcuni schizzi su un taccuino da cui nascerà dopo sistemazioni e ricomposizioni la pagina definitiva, è esattamente quello dei pittori en plein air”.

L'autore




Émile Zola, scrittore francese (Parigi 1840 - ivi 1902). Affermatosi dapprima come critico d'arte, difese l'impressionismo. Teorico del naturalismo, ne offrì un modello esemplare nella sua opera narrativa: da Teresa Raquin (1868) al ciclo Les Rougon-Macquart, sous le Second Empire (1871-93), che comprende L'Assommoir (1877 histoire naturelle et sociale d'une famille) e Germinal (1885), i romanzi di Z. costituiscono un immenso affresco della società del tempo, osservata con rigore scientifico e con una scrupolosa ricognizione storica, sociologica, linguistica. Di convinzioni repubblicane, nell'affaire Dreyfus Z. prese posizione a favore dell'innocente: celebre è la lettera aperta nota con il titolo J'Accuse (1898).




Il suo pensiero sul ruolo dello scrittore:

…”Il romanziere come lo scienziato deve essere insieme osservatore e sperimentatore, considera l’arte come una riproduzione oggettiva del reale governata dalle leggi della natura, rivendica l’impiego morale dello scrittore che, mettendo in luce le cause dei fenomeni sociali, deve indurre la società stessa a intervenire per modificarli e migliorarli.”…